Pagina:Pascoli - Traduzioni e riduzioni, 1923.djvu/129

Da Wikisource.

miscellanea 109


delizie estive

Quando sì il cardo è fiorito, e sì già l’echeggiante cicala
posta sull’albero versa l’acuta canzone minuta-
mente dall’ali, nel tempo che l’afa ci prende le forze,
ecco che son più grasse le capre, ed il vino migliore.
Abbi a tua posta ed un’ombra di rupe ed un vino di Biblo,
pane al suo punto, e di capre che più non allevino, il latte;
carne di manza che mangi alla selva, nè abbia figliato,
di primaticci capretti; e bevicchiaci vino di fiamma,
bene adagiato ad un’ombra, con l’animo sazio di cibo,
volta la faccia all’incontro del tremulo maestralino,
presso una fonte perenne, che scivoli pura di fango.


l’inverno

Mese dei tòrcoli, dì ben tristi, che spellano i bovi!
guardatene! Sulla terra si formano allora, al soffiare
del tramontano, per tutto i ghiaccioli molesti alla gente.
Esso traverso la Tracia che pasce polledri, si leva,
soffia nell’ampio mare, e la terra ne mugola e il bosco:
roveri molte che in alto frondeggiano, abeti ramosi
e’ nelle forre de’ monti diradica e getta per terra,
loro avventandosi, e l’innumerabile bosco ne grida.
Rabbrividiscono i bruti e si serrano al ventre la coda.
Hanno la pelle bensì tutt’ombra di lana, ma pure
gelido penetra il vento attraverso le pancie vellose:
anche dal cuoio de’ buoi via passa, che nulla lo tiene;
anche alle capre ei giunge, dal penduto vello; le greggie,
no, ch’han lana perenne, non passa la forza del vento