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catullo - orazio - virgilio 119

E promettendo agli dei non invano e non piccoli doni
essa col tacito labbro accendeva un incenso di voti.

baccanale

Ma d’altronde venìa, sull’ali, lo splendido Iaccho
cinto de’ satiri suoi, de’ Nisìgeni suoi Sileni,
te cercando, Ariadna, per te già caldo d’amore.
Rapidi fervidi qua là scorrazzavano fuor di
sè, urlando euoè, euoè, torcendo le teste.
Parte scotevano tirsi, ravvolti di pampane il ferro,
parte tiravano brani di dilanïato giovenco,
parte s’attorcigliavano al corpo viluppi di biscie,
parte tenevano l’orgie, coperte, ne ’l fondo de l’urne,
l’orgie che l’uomo profano desidera invano sapere.
Altre con larghe le palme sui timpani davano colpi,
altre dal cembalo tondo traevano squilli di bronzo.
Molte da corni di bue soffiavano strepiti rauchi,
ed uno stridulo canto esciva da’ barbari flauti.


catullo non oblia

Non lo pensare che, come affidate alle raffiche erranti,
     le tue parole dal mio cuore vanissero già:
come la mela che il damo mandò di nascosto in regalo,
     sfugge dal grembo alla pia vergine e sdrucciola giù:
sotto la morbida veste l’aveva riposta; ma viene
     mamma; ella s’alza, ed il pomo, eccolo, scivola, ahimè!
non ricordava. Ora l’uno è per terra che ruzzola: all’altra,
     ritta, dal volto confuso esce il rossore che sa.