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356 parte seconda

discorrere, da dimenticare di affacciarsi al balcone, dove un uragano di acclamazioni insistentemente lo chiamava.

Non si ritirò da quel posto, e dalla sala, che al ribattere delle undici ore.

Quando la cara e desiderata persona di Umberto si presentò al sommo della gradinata, per risalire in carrozza, lo salutò un urlo assordante e simultaneo di tutta la città ivi convenuta.

Alle undici e mezzo S. M. era ritornata al Chievo.

Nemmeno la domenica 19, ultimo giorno delle manovre, Giove bisbetico volle smettere i suoi capricci. Anche stavolta si lasciò il Chievo sotto un diluvio d’acqua, e in mezzo a un vento indiavolato. Malgrado ciò, giunto e Villafranca, il Re ebbe le solite accoglienze dalla folla accorsa a riceverlo, anche in barba ai dispetti di Giove.

Da Villafranca, in una sola trottata si giunse a monte Croce, dove la battaglia, alle nove ore precise era impegnata su tutta la linea.

Il quinto e terzo Corpo avanzavano, occupando quel monte, e Custoza. Tutta la linea era protetta dall’artiglieria che copriva l’avanzata della fanteria.

Il nemico segnato si ritirava su Sommacampagna, mentre la Divisione Mobile — la quale, tanto nelle manovre quanto nello sfilamento in piazza d’armi, fu veramente ammirevole — s’ingegnava ad aggirarlo e molestarlo. Quella povera Milizia Mobile, ci pare ancora di vederla con meraviglia, diguazzare allegramente in una continua pozzanghera, come tanti ranocchi!

L’azione è vasta e distesa; ma il tempaccio continua a imperversare con una costanza.... croata. Le truppe marciano su Verona.... Ma s’è fatto tardi; e S. M. il Re, che doveva trovarsi al Chievo a mezzogiorno per ascoltare la Messa, è obbligato a telegrafare che prima del tocco non avrebbe potuto essere di ritorno.

Il tocco!.... Ciò che valeva come dire al buon Don Antonio Cornetto; — Ella è condannato a digiunare un’ora di più, oltre l’usato!

Ma possiamo affermare, senza tema di smentite, che per avere la immensa e dolce soddisfazione di pontificare davanti al suo buon Re, egli si sarebbe volontieri sottomesso.... anche ai digiuni del Succi.

E, di fatti, entrati in chiesa al tocco. Don Cometto intonò il Domine salvum fac regem nostrum, con tale e tanta inspirata energia, da dar dei punti al più noto e forte cantore del Duomo di Milano.