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dieci anni dopo 375

IX.


All’Ospedale. — Come a Napoli e a Busca. — All’Arena. — «È meraviglioso!» — Le precedenze a tavola. — Rudinì e Pelloux. — Chassè-croisé!


Ma torniamo al XX settembre.

Verso le ore sedici, il sindaco, cui una gita al Chievo durante il soggiorno di S. M. era sempre come una festa, venne a prendere Umberto per accompagnarlo all’Ospedale Civile. Ivi stava aspettandolo il Presidente del Consiglio, marchese di Rudinì, arrivato col diretto delle quattro per abboccarsi col Sovrano.

All’ospedale, il Re s’interessò di ogni cosa; volle vedere, non solamente le sale già predisposte per riceverlo, ma anche quelle dove stanno rinchiusi gli ammalati in osservazione. Si fermò al letto dei tifosi; a quello degli scrofolosi; e, colla indifferenza abituale nel visitatore e consolatore dei colerosi di Busca e di Napoli, si sarebbe ugualmente fermato a stringere la mano anche a un appestato.

Nel partire, S. M. si congratulò vivamente coll’illustre professore Massalongo direttore dell’ospedale; poi, invitato il marchese di Rudinì a salire accanto a lui in carrozza, e seguito da una lunga coda di equipaggi, sempre in mezzo ai battimani e agli evviva, si diresse verso l’Arena.

Lo spettacolo all’Arena, che doveva aver luogo il 19, era stato rimandato al giorno 20, in causa dei soliti isterismi del tempo. Cotesto spettacolo dell’anfiteatro veronese, per quante volte si ripeta, è sempre cosa nuova, mirabile, imponente. Non occorrono giuochi olimpici, o altri divertimenti; basta vederlo stipato da una massa di popolo, come si vide anche questa volta. Dicevasi anzi che lo spettacolo offerto all’Arena in codesta occasione, superasse quelli dati in onore di Vittorio Emanuele, e di Giuseppe Garibaldi.

Le sette porte del teatro romano si spalancarono alle ore due pomeridiane: e per tre ore di seguito, veri torrenti umani penetrarono romorosi là dentro, passando pei grandi vani della platea — dai quali, sinistramente romorosi, uscivano terribili, illo tempore, le tigri, i leoni e le pantere a deliziare le matrone pagane colla vista del sangue cristiano.

Alle ore cinque, più di 50.000 persone stavano pigiate, come tante acciughe, in quell’immane tinozza; la quale, per forma e conservazione, batte in breccia lo stesso Colosseo. L’effetto di quella moltitudine assiepata sui gradini, nella platea, sugli spalti, non si narra colla penna, nè colla parola.