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102 1938


16 giugno.

C’è il tipo d’uomo che non può tollerare di lasciare una donna, una persona in genere con la quale sia entrato in rapporto geloso, senza sbatterle la porta in faccia.

Non credo che sia malvagità. È semplicemente bisogno di fare clamorosamente, totalitariamente quello che in altro modo parrebbe solo approssimativo e non certo.

È debolezza. Consiste in attaccarsi ai simboli esterni della separazione (parolacce, schiaffi, gesti, scandali) per mera sfiducia verso la propria intima risoluzione.

È paura di esser fatto fesso e vedersi rimettere nella situazione di prima — nel quale caso sarebbero desolatamente irriti, sprecati, tutti gli spasimi che la separazione ha pure causato.

Non è malvagità. Ma certo tutte le malvagità nascono di qui, se tutte nascono dall’ambizione frustrata.

Con la tua definizione del sacrificio che consisterebbe in vivere con una persona, non nel rinunziarvi, ottieni di mettere dalla parte del torto chi ti rifiuta. Ma perché poi si debbono fare sacrifici?

Non ti accorgi che — se pure rigetti una sana e normale struttura morale — ti resta il culto del gesto morale, privato di ogni appiglio storico o trascendente — cioè mera retorica?

[......]1.

17 giugno.

L’effetto del dolore (disgrazie, sofferenze, quando siano mentali) è di creare un filo spinato nella mente e costringere i pensieri a evitare certe aree, per sfuggire alle angosce che vi regnano. In questo senso, soffrire limita l’efficienza spirituale.

Che, finito il dolore, la propria potenza si trovi accresciuta non è poi tanto gloriosamente vero, anzitutto perché un certo indolen-

  1. Omesse nove righe [N. d. E. ].