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zimento nell’area resta sempre, e una tendenza a evitare il malo passo, e poi perché, se durante la pena non si è acquistato nulla, non si vede come si possa acquistare dopo, nella normalità.

Il fatto è questo, che si è acquistata esperienza: la cosa cioè piú astratta e vana. Quanto alla tempra, la si è solo indebolita. Nessun carattere ha dopo un dolore la tempra che aveva prima. Come nessun corpo dopo una ferita ha la salute di prima, se non un indurimento esacerbato: il famoso stato corneo.

Tutti questi grandi spiritualisti parlano in fondo di risultati materiali: nozioni su se stesso, sulla vita, massime che ci si dà, ecc. L’efficienza, la tempra, la «portata del ponte», ognuno vede chiaramente che col dolore subisce soltanto una limitazione d’attività, e quando ritorna ad avere campo libero non ha nemmeno il vantaggio di essersi rinvigorita con un riposo — dato che soffrire travaglia e lima anche se non lascia libero gioco.

20 giugno.

È notevole come divenendo adulti non s’imparino nuovi modi di fare il bene — di essere buoni — ma soltanto di fare il male, anzi di essere cattivi. Di questi sí, non si finisce mai d’impararne.

Perché? Forse perché il piú serio desiderio di bontà non va oltre la ricordata innocenza infantile? Dico ricordata, perché in pratica si era carogne anche allora.

22 giugno.

Il mondo si vive con l’astuzia. E va bene. Solamente gli astuti sanno fare il male, trionfando. Chi soffra di questo stato di cose e decida di fare una porcata per vendicarsi, per mettersi a posto, per trionfare, deve riflettere che poi gli toccherà sempre di vivere con astuzia, saper trionfare, altrimenti l’astuta porcata commessa una volta tanto servirà solo a tormentarlo, contrastando con tutto il suo persistente stato di non-astuto, di non-porco, d’inetto.