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326 1948


19 gennaio.

Oggi giornata cattiva, perduta. Incontri tollerati, stracchi, inutili. Situazioni grevi inconfessabili, sciocche. Non inventato, non fatto nulla. Eppure vista molta gente: Natalia, Balbo, Maria Livia, Piero, il novellista esistenziale, Simone, altri. Giornali della sera minacciosi. È tutto qui. O sembra. Comprata la nuova penna.

Pare certe giornate del ’46 romano. A ripensarci, le sento belle. Se leggo quei giorni, soltanto, capisco com’ero a terra. Nel ricordo si godono specialmente i periodi che, a viverli, parevano intollerabili. Niente va perduto. Il disagio, il disgusto, l’angoscia acquistano ricchezza nel ricordo. La vita è piú grande e piena di quanto sappiamo.

20 gennaio.

Oggi consacrazione. Mi pregano di scrivere, di concedere la mia firma. L’avessi saputo a vent’anni! Conta qualcosa adesso? Di nuovo, inverno ’46, romano. Sono triste, inutile, come un dio.

21 gennaio.

Il giovane... dalla faccia dura e intensa, è un campione sgradevole e temibile. Delle cose che ha fatto tace e lascia parlare, con suprema importanza. È cocciuto, chiuso in sé, percettivo e fanatico. Fanatico di sé, del suo fare. Non si può saltellare con lui; anche la sciocchezza è una cosa seria che ha sfondi imprevisti. «Ha un complesso di superiorità» dice Calvino, e dice bene, perché c’è pure in lui un impaccio, un fastidio, quel che si dice un complesso. Sgradevole uomo.

25 gennaio.

Non è che accadano a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso — vale a dire, un destino.