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Pagina:Pavese - Il mestiere di vivere.pdf/333

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1948 329


Diventi subito incapace, ti spegni, ti drizzi, recalcitri. Non sai piú dire una parola buona. Cancelli e abbandoni.

Il rancore contro chi hai cosí cancellato e per pietà per sacrificio devi ancora bentrattare.

La salute interiore che la professione politico-morale, che il contatto con la massa, dona, non è diversa da quella che nasce da qualunque lavoro, da qualunque dedizione al fare. Quando scrivi qualcosa e dài dentro, sei sereno, equilibrato, felice.

E se tutto è soltanto salute, efficiente esistere? Cosa dirai in punto di morte?

5 marzo.

La scuola romana — quell’incontro di giornalisti, avventurieri, scrittori, pittori ecc. ha inventato un’arte riflessa, di tipo alessandrino, il gusto di rifare uno stile, una tecnica, un mondo, che «fanno data» e risaltano l’intelligenza e il non impegno. Longanesi e «Omnibus», Cecchi e Praz, Cardarelli e Bacchelli, Moravia e Morante. Esterni, Landolfi e Piovene. Fu in sostanza l’arte fascista; ciò che nacque di vivo e vero — di cinico — nel periodo fascista. Sfuggono gli estremi, Sicilia e Piemonte, che fascisti non furono e s’imbarbarirono e scoprirono oltremare — Vittorini e Pavese. Per questi, ci vuole altra formula.

In fondo l’intelligenza umanistica — le belle arti e lettere — non patí sotto il fascismo; potè sbizzarrirsi, accettare cinicamente il gioco. Dove il fascismo vigilò fu nel passaggio tra intellighentsia e popolo; tenne il popolo all’oscuro. Ora il problema è uscire dal privilegio — servile — che godemmo e non «andare verso il popolo» ma «essere popolo», vivere una cultura che abbia radici nel popolo e non nel cinismo dei liberti romani.

Balbo diceva che sei pagano. No, stoico.