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1950


1° gennaio.

Roma è un crocchio di giovanotti che attendono per farsi lustrare le scarpe.

Passeggiata mattutina. Bel sole. Ma dove sono le impressioni del ’45-’46? Ritrovato a fatica gli spunti, ma niente di nuovo.

Roma tace. Né le pietre né le piante dicono piú gran che. Quell’inverno stupendo; sotto il sereno frizzante le bacche di Leucò. Solita storia. Anche il dolore, il suicidio, facevano vita, stupore, tensione. In fondo ai grandi periodi hai sempre sentito tentazione suicida. Ti eri abbandonato. Ti eri spogliato dell’armatura. Eri ragazzo.

L’idea del suicidio era una protesta di vita. Che morte non voler piú morire.

2 gennaio.

Tornato in via Uffici del Vicario. Vecchi volti (le ragazze, gli uomini, io). Le cose si sa che accadono quando sono già accadute. La pienezza del ’45-’46 la so adesso. Allora la vivevo.

Id. nella storia. Gusto del passato, della conservazione. Il destino è abbandonarsi e vivere la pienezza, che poi si chiarisce coerente e costruttiva. È destino ciò che si fa senza saperlo, abbandonandosi. In un dato senso, tutto è destino: non si sa mai quel che si fa. C’è una piccola e razionale consapevolezza che morde in superficie e noi abbiamo il dovere di profondire al possibile. Ciò che resta inconoscibile (lo capiranno i posteri — in questo senso non è irrazionalismo) è il destino. Esempio storico: il vero significato del-