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Ora che di sfruttarla in creazione ho smesso sul serio, m’accorgo che nemmeno mi basta a vivere.

È un dilemma grave: ho sinora perso del tempo puntando sulla poesia oppure lo stato attuale è premessa di una piú profonda e vitale creazione?

14 settembre.

D’accordo con Berg.1 che tanto il razzismo quanto la bontà naturale dell’uomo sono miti politici da giudicarsi alle loro realizzazioni, ma è disonesto scusare la riconosciuta debolezza filosofica del razzismo col fatto che ora si è riconosciuta debole filosoficamente anche la bontà naturale. Perché un mito per essere storicamente legittimo va creduto al suo tempo, e deve essere l’ultima parola della critica del suo tempo. Tale era la bontà naturale nel ’700, tale non è il razzismo nel ’900.

Lo stesso accade per le strutture della poesia dei vari tempi. Che le favole del passato per noi siano miti è pacifico, ma per fare grande poesia il poeta ha dovuto credere alle sue favole, crederle cioè l’ultima parola della critica dei suoi tempi.

15 settembre.

Se tento un bilancio della mia opera poetica, non ci trovo poi tutti quei vantaggi. Lascio stare la gloria o il disonore — mi esamino come se non avessi pubblicato — e trovo che il mondo ha ora perso per me tutto il suo aspetto incantato, poiché molte cose che mi piacevano e contentavano si sono ora spente nella pagina scritta che le incenerí. Rivelando a me stesso, colla realizzazione, la natura tutta fantastica di quei miei trasporti e scatti e amori e attaccamenti, li ho ora, per lo stesso fatto della realizzazione compiuta, resi vuoti e inutili. Chiarisco: non mi tormenta amor di novità per ambizione; mi sta chiaro innanzi che quelle scoperte non avevano che significato prepoetico e perciò — una volta poetificate — hanno assolto il loro compito.

  1. Bergson? [N.d.E.].