Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/200

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tura nordamericana ed esperienza umana, sono troppo facilmente comprensibili nell’unico concetto di esperienza che tutto, e quindi nulla, spiega.

Ancora. Per un rispetto piú sottilmente tecnico le tre attività che ho detto hanno influito sui convincimenti e disegni, dati i quali ho posto mano a I mari del Sud. Nei tre casi, entrai variamente in contatto con l’awenimento di una creazione linguistica a fondo dialettale o per lo meno parlato. Intendo la scoperta del volgare nordamericano nel campo dei miei studi e l’uso del gergo torinese o piemontese nei miei naturalistici tentativi di prosa dialogata; entrambi, entusiastiche avventure di giovinezza, e tali su cui fondai piú di un pensamento presto dissolto e integrato dall’incontro con la teoria identificatrice di poesia e linguaggio.

In terzo luogo, lo stile sempre parodistico della versificazione sotadica mi abituò a considerare ogni specie di lingua letteraria come un corpo cristallizzato e morto, in cui soltanto a colpi di trasposizioni e d’innesti dall’uso parlato, tecnico e dialettale si può nuovamente far correre il sangue e vivere la vita. E sempre, questa triplice e unica esperienza mi mostrava, nel groviglio donde diramano i diversi interessi espressivi e pratici, la fondamentale interdipendenza di questi motivi e il bisogno di un continuo rifarsi ai principi, pena l’isterilimento; mi preparava cioè all’idea che condizione di ogni slancio di poesia, comunque alto, è sempre un attento riferimento alle esigenze etiche, e naturalmente anche pratiche, dell’ambiente che si vive.

I mari del Sud, che viene dopo questa naturale preparazione, è dunque il mio primo tentativo di poesia-racconto e giustifica questo duplice termine in quanto oggettivo sviluppo di casi, sobriamente e quindi, pensavo, fantasticamente esposto. Ma il punto sta in quell’oggettività del divenire dei casi, che riduce il mio tentativo a un poemetto tra il psicologico e il cronistico; comunque, svolto su una trama naturalistica. Insistevo allora sulla sobrietà stilistica per fondamentale posizione polemica: c’era da raggiungere l’evidenza fantastica fuori di tutti gli altri atteggiamenti espressivi viziati, a me pareva, di retorica; c’era da provare a me stesso che una sobria energia di concezione portava con sé l’espressione aderente, immediata, essenziale. Nulla di piú ingenuo che il mio contegno di allora davanti all’immagine retoricamente intesa: non ne volevo nelle mie poesie e non ce ne mettevo (se non per sbaglio). Era per

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