Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/201

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salvare l’adorata immediatezza e, pagando di persona, sfuggire al facile e slabbrato lirismo degli imaginifici (esageravo).

È naturale che con un tale programma di semplicità si veda la salvezza unicamente nell’aderenza serrata, gelosa, appassionata all’oggetto. Ed è forse soltanto la forza di questa passione e non la sobrietà oggettiva, che salva qualcosa di quelle prime poesie. Poiché non tardai a sentire l’impaccio dell’argomento, ossia dell’oggetto, inevitabile in una simile concezione materialistica del racconto. Mi scoprivo sovente ad almanaccare argomenti, e questo è il meno male: lo faccio tuttora con indubbio profitto. Ciò che non va, è cercare un argomento disposti a lasciarlo svilupparsi secondo la sua natura psicologica o romanzesca e prender atto dei risultati. Ossia, identificarsi con questa natura e supinamente lasciarne agire le leggi. Questo è cedere all’oggetto. Ed è quanto facevo.

Ma quantunque già allora l’inquietudine congenita a un tale errore non mi lasciasse pace, pure motivo di soddisfazioni ne avevo. Anzitutto, proprio lo stile oggettivo mi dava qualche consolazione con la sua solida onestà: il taglio incisivo e il timbro netto che ancora gli invidio. Si accompagnava anche a un certo piglio sentimentale di misogino virilismo di cui mi compiacevo e che, in definitiva, con qualche altro piglio compagno formava la vera trama, il vero sviluppo di casi, della mia poesia-racconto, che io fantasticavo oggettiva. Poiché, lodando il cielo, se sovente si teorizza bene e realizza male, qualche volta accade il contrario. E insomma, dopo anni di evanescenze e strilli poetici, ero giunto a far sorridere una mia poesia — una figura in una poesia — e questo mi pareva il suggello tangibile del conquistato stile e dominio dell’esperienza.

Mi ero altresí creato un verso. Il che, giuro, non ho fatto apposta. A quel tempo, sapevo soltanto che il verso libero non mi andava a genio, per la disordinata e capricciosa abbondanza ch’esso usa pretendere dalla fantasia. Sul verso libero whitmaniano, che molto invece ammiravo e temevo, ho detto altrove la mia e comunque già confusamente presentivo quanto di oratorio si richieda a un’ispirazione per dargli vita. Mi mancava insieme il fiato e il temperamento per servirmene. Nei metri tradizionali non avevo fiducia, per quel tanto di trito e di gratuitamente (cosí mi pareva) cincischiato ch’essi portano con sé; e del resto troppo li avevo usati parodisticamente per pigliarli ancora sul serio e cavarne un effetto di rima che non mi riuscisse comico.

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