Pagina:Pavese - Poesie edite e inedite.djvu/204

Da Wikisource.


Ero risalito (o mi pareva) alla fonte prima di ogni attività poetica, che avrei potuto cosí definire: sforzo di rendere come un tutto sufficiente un complesso di rapporti fantastici nei quali consista la propria percezione di una realtà. Continuavo a sprezzare, evitandola, l’immagine retoricamente intesa, e il mio discorso si manteneva sempre diretto e oggettivo (della nuova oggettività, s’intende), eppure era finalmente cosa mia il senso tanto elusivo di quel semplice enunciato che essenza della poesia sia Pimmagine. Le immagini formali, retoricamente parlando, le avevo incontrate a profusione nelle scene degli elisabettiani, ma appunto andavo in quel tempo faticosamente persuadendomi che la loro importanza non stava tanto nel significato retorico di termine di paragone, quanto piuttosto in quel mio significato, ultimamente intravveduto, di parti costitutive d’una totalitaria realtà fantastica, il cui senso consistesse nel loro rapporto. Favoriva questa scoperta la natura peculiare dell’immagine elisabettiana, cosí piena straripante di vita, e ingegnosa, e compiaciuta di questa sua ingegnosità e pienezza come della propria giustificazione ultima. Per cui molte scene di quei drammi mi parevano trarre il loro respiro fantastico esclusivamente nell’atmosfera creata dalle loro similitudini.


La storia delle mie composizioni successive al primo Paesaggio è naturalmente, in un primo tempo, una storia di ricadute nell’oggettività precedente, psicologia o cronaca; come accade ad esempio per Gente che non capisce, tutta percorsa però anch’essa di brividi nuovi. In seguito, la traduzione in fantasia di ogni motivo dell’esperienza mi si venne facendo quasi metodica, sempre piú sicura, istintiva; e fu a questo punto che presi coscienza del nuovo problema da cui non sono ancora uscito.

Va bene, dicevo, sostituire al dato oggettivo il racconto fantastico di una piú concreta e sapiente realtà; ma dove si dovrà fermare questa ricerca di rapporti fantastici? cioè, quale giustificazione di opportunità avrà la scelta di un rapporto piuttosto che un altro? Mi impensieriva, in una poesia come Mania di solitudine, la sfacciata preminenza data all’io (che fin dal tempo de I mari del Sud era stato mio polemico vanto ridurre a mero personaggio e talvolta abolire), non tanto intendendolo argomento oggettivo, ché era ormai timore puerile, quanto perché alla preminenza dell’io

200