Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/184

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sull’aia, prepariamo le bestie, perché le macchine andavano tirate nel cortile. Io guardavo quel buco della volta, di dove Talino era scappato, e sulla collina usciva già il primo sole. Non si sentiva un’anima, neanche un gallo nella campagna, e il cane ci guardava fare, accucciato sulla porta.

Mentre Ernesto m’insegnava a buttare i cinghioni, do un’occhiata alla Grangia e gli dico: — Chi sa dov’è andato.

— Tornerà, — dice Ernesto.

— Dipendeva da voi di lasciarlo in prigione.

Ernesto mi guarda brutto. Poi dice: — Ho creduto di fare una ragione a chi non ne aveva. Sarà l’ultima volta.

Poi ci chiamano dal cortile. Venivano per battere il grano, facce della sera prima. Uno dice che Talino l’avevano preso a Monticello; un altro, ch’era scappato verso la Langa; un altro, che non fosse lontano. — Ma com’è stato? — chiedeva qualcuno. — È stato qui, vedi le macchie; se Ernesto del Prato non lo teneva, scannava anche i buoi.

Venivano altre donne e salivano. Io guardavo la finestra. Doveva ancora esserci il prete.

Portate le macchine nel cortile dell’aia, le piazziamo al posto giusto. Io guardavo il trambusto e mi ricordo che bestemmiavano tutti ma sottovoce.

A sole alto il prete non era ancora uscito. Con Ernesto avevamo già accesa la motrice e, passata la cinghia, ecco che la baracca di legno si chiudeva si apriva e faceva un rumore come di mille calabroni. — Il fischio, — dice uno. — Piazzata la macchina, bisogna farla fischiare perché tutte le campagne lo sappiano. — Non si può, — dico, e mostro la finestra. Allora salgono sul battitore e dan mano ai tridenti, e cominciano a buttar su i covoni. Ogni covone sprofondava, come la macchina si fracassasse e i calabroni diventassero il doppio. Al principio quei pochi uomini correvano nella confusione, poi mi lasciano solo al mio forno; dal portico fanno la catena per i covoni, e le donne pensavano ai sacchi dove il grano cadeva trebbiato. Altre donne ammucchiavano la paglia. Le vedevo con quei fazzoletti sugli occhi, le gambe scalze e le sottane in aria. Poi, una mi sembra Miliota. Allora, corro e la fermo. — Non eri di sopra col prete, tu? — Il prete è un pezzo che è andato. — E Gisella? — Non può piú parlare — . Miliota era già sudata sotto il fazzoletto, ma aveva ancora gli occhi rossi. — Non


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