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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/379

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un lavoro. Mi ero messo col vecchio padrone di Amelio, che aggiustava le moto e comprava e vendeva, e gestiva un servizio di camion sull’autostrada. — Nell’officina, anche domani, — mi disse. — Ma un motore l’affido soltanto a chi ha piú di trent’anni. Ti fa male la testa? Non ne voglio di matti — . Gli chiesi allora di lasciarmi accompagnare qualche camion per farmi un’idea. — Tu suoni troppo la chitarra, — mi rispose, — mi farai bere quei ragazzi — . Se avessi osato tornare da Amelio, gli avrei chiesto una spinta. Lui conosceva tutti quanti in officina e sulla strada. Una volta mi avrebbe aiutato, pensavo. Una volta. Nel caffè degli autisti conoscevo qualcuno. — È una brutta stagione, — mi dissero, — si prende soltanto del freddo. Ma ce l’hai la patente?

— Non ti basta il negozio? — mi dicevano in casa. — Cosa credi di fare?

Io cercavo un lavoro che potessi suonare la chitarra e trovarmi con Linda. Un’officina era lo stesso che il negozio. Quel che volevo era girare e far da me. Al caffè degli autisti, vedevo le facce. Era gente che a volte faceva la notte. Quelli dei camion guadagnavano e giocavano robusto. Ne arrivavano all’alba, di sera, di notte. Mi venne in mente quel mattino che avevo preso latte e grappa in quel bar. Per lavorare, lo sapevo, bisognava darsi attorno. Ero disposto a lasciare Linda avanti giorno.

Portare un camion non sapevo, e non avevo la patente. Una sera che tanto ero solo, ci venni con Lario e portai la chitarra. Il cameriere ci abbassò la radio; io seduto davanti a un bicchiere suonai fin che volli. Sentivo dire: «È il tabaccaio» e conoscevo qualche faccia. Alla fine trovai chi cantava, e chiedemmo altro vino. Uno biondo, Milo, prese lui la chitarra. Era un diavolo lungo, dalla faccia slavata. Suonò dei tanghi ma gli dissero di smettere. — Tu canta soltanto, — gli dissero, — lascia suonare la chitarra.

L’indomani ero in camion, con Milo e un meccanico piú vecchio. Portavamo dei sacchi di zolfo a Casale. Ce ne partimmo con la nebbia, a fari accesi. — Se troviamo il sereno, — mi disse, — ti lascio guidare — . A Trofarello c’era il sole. Presi il volante. Faceva l’effetto di guidare una casa. Erano brutte le discese, questo sí. — Vedrai che strade in provincia di Alessandria.

— Occhio ai militi, — disse il meccanico.

Per fortuna non avevamo rimorchio. — Dove sbagli è nei cambi, — mi dissero, — si capisce che tu andavi in balilla.


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