Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/380

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Quel giorno ripresi la guida sovente, quando la strada era buona. Milo mi disse: — Se portavi la chitarra. — Un’altra volta.

Ci fermammo a Moncalvo. C’era la neve dappertutto. Cominciavo a capire perché per guidare ci vogliono gli occhiali. Lo stradone era tutto una poltiglia. Mangiammo un boccone in una stanza con la stufa, poi bevemmo un bicchiere parlando dei viaggi che avevano fatto. Milo era stato fino a Roma già una volta. — Si guadagna, — diceva, — ma non si risparmia un quattrino — . Cacciai fuori un pacchetto intero e li feci fumare. — Io ero in Spagna una volta, — ci disse il meccanico, — anche quella, che gente. Là la benzina è andata tutta nelle case, per bruciarle.

Allora Milo strizzò l’occhio. — Ci sono i nostri anche dall’altra parte.

Il meccanico disse: — Quando è vietato darsi botte nel locale, si va in piazza.

A Casale, altra nebbia c’era e poltiglia. Cambiammo il camion. Tornavamo a Torino con un carico di cemento. Volevo andare un poco in giro a vedere, ma dissero: — È meglio scaldarci — . Sapevano loro una buona osteria e mangiammo e bevemmo decisi. Poi facemmo una mano alle carte. Era spuntato un po’ di sole, una miseria.

Ripartimmo, e adesso il motore non era piú lui. Cominciò a fare degli scherzi prima di Asti. Ci toccò stare per un’ora nella neve a bruciarci le mani sui ferri. Io cuocevo. «Stasera non mi trovo con Linda». Finalmente il motore cantò. Ci pulimmo le dita nella neve, ci asciugammo e partimmo. Coi fari accesi, nella nebbia. Arrivammo a Torino ch’era notte da un pezzo. Linda aspettava sulla porta.

Per qualche giorno lasciai perdere, e andai soltanto all’officina.


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