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chiassero di notte. Potevo andarmene per tutte quelle strade, far la notte con Gina, rientrare al mattino — non riuscivo a levarmi di mente quegli altri in prigione. Quanto piú c’era fresco e gente allegra per le strade — lungo il Tevere, sotto i giardini, davanti ai caffè — tanto piú ci soffrivo. Quando giravo in bicicletta al pomeriggio andavo fuori, cercavo i rioni piú lontani e tranquilli; non potevo resistere sui crocicchi del centro dov’era caldo e un putiferio di automobili e di gente, e l’asfalto era lustro e puzzava. Piazza Venezia era vicina, e ci sentivo quel puzzare e quella voce. Si sentiva guardando i palazzi e i giornali. Ce l’avevano indosso i passanti. Voltavi l’angolo e quei vicoli del centro erano cessi. Da quanto tempo ci pisciavano i romani? Ero passato alla Lungara per vedere le prigioni. Anche là quell’odore che cuoceva nel sole.
Cercai Giulianella in trattoria ma non c’era. Dove abitasse non sapevo, e nemmeno volevo saperlo. Trovai Fabrizio che mi disse ch’era meglio aspettare. Giulianella andava alle prigioni a portar roba, e la seguivano di certo. Era meglio non farsi vedere.
Tutto questo toglieva voglia di ridere. Non restava piú nessuno se non Gina e la Marina. Smisi di uscire in bicicletta e mi fermavo al negozio. Tutto sommato la vecchia Marina non seccava. Lei accudiva le due figlie di Dorina con la nonna. Anche Gina l’aveva capita ch’ero fatto a mio modo, e lasciava che andassi e venissi e pensava lei al negozio. Non cambiò nulla nei miei conti a percentuale. S’era provata il giorno dopo — mi voleva mantenere. Ma lo fece con tanta soggezione che risi una volta. — Cara donna, — le dissi, — vuoi che mettiamo il letto in negozio? Sono Pablo e lavoro a giornata. Che storie.
Me ne andavo là in faccia a mangiare i finocchi. Poi davo mano alla chitarra e mi sedevo su una cassa. Il lavoro in negozio spingeva. Qualche volta veniva una moto, e potevo toccare un motore. Se avessi avuto un capitale era il momento d’ingrandirci. Gina capiva queste cose e mi seguiva. Stava sveglia di notte a pensarci. Io parlavo con questo e quello, facevo i miei conti; ma che proprio credessi all’indomani, non so. Dalla mattina di Luciano qualcosa era successo. Lo sentivo nell’aria che c’era qualcosa. Non poteva durare, ma speravo ancora che fosse un’idea. Certe volte anche a me prendeva l’affanno. Neanche con Gina mi calmavo.
Lei faceva di tutto perché fossi contento, perché restassi su
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