Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/45

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— Stavo chiedendo a Catalano perché non è venuto alla festa, — disse Stefano. — Voi vi siete divertito, pare.

— Catalano lavora sott’acqua, — disse Pierino.

Stefano disse: — Naturale. Chi beve in questo paese?

— Fa troppo caldo.

— Noi siamo piú innocenti, — disse Stefano, — delle due preferiamo un po’ di vino.

Giannino taceva sornione.

Pierino sorrise, compiaciuto. — È un vino che dà i reumatismi. Parola, non credevo di addormentarmi cosí caldo e ridestarmi cosí freddo.

— Colpa vostra, — disse Stefano. — Dovevate pigliarvi nel fosso una delle ragazze del prete.

— E voi lo faceste?

— Io? no... Sono stato ad ascoltarvi quando dicevate di essere in Maremma e di chiamare i bufali.

Giannino rideva. Anche Pierino ridacchiò, e chiamò il cane.

— Tristo paese, — brontolò poco dopo; — dove per stare allegri bisogna imbestiarsi...

Quel pomeriggio, quando fu solo nella stanza, Stefano si distese sul letto di botto; non piú solamente per tedio. I suoi futili libri sul tavolino non gli dissero nulla. Era cosí lontano il suo mestiere: ci sarebbe stato tempo. Pensò alla mattinata e alla sua gioia, di cui gli restava un sapore di corpo di donna, che avrebbe sempre potuto rievocare nella tristezza. Se Elena non veniva in quel pomeriggio, voleva dire che l’aveva vinta lui, ch’eran d’accordo, che non gli avrebbe piú fatte quelle scene di spavento, ma accettava di fargli da corpo senza chiedergli nulla.

Si ridestò verso sera dentro un’aria immobile che lo svegliò perché fresca. Ritrovò prima il paese che se stesso, come se lui dormisse ancora, e una placida vita di bambini, di donne e di cani si svolgesse sotto la brezza della sera. Si sentiva irresponsabile e leggero, quasi il ronzio di una zanzara. La piazzetta trasparente avanti al mare doveva essere gialla di tramonto. Davanti all’osteria c’eran tutti, pronti al gioco e ai discorsi cortesi. Non si mosse, per trattenere quell’attimo; mentre lasciava adagio che affiorasse dal profondo una certezza anche piú bella. Che non dormiva piú e che quella pace era dunque reale. Che il carcere era ormai tanto remoto, che poteva tornarci nel dormiveglia con calma.


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