Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/22

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resistenze e ingenuità che irritavano. L’idea di esserle legato, di doverle qualcosa, per esempio del tempo, mi pesava ogni volta. Una sera, sotto i portici della stazione, la tenevo a braccetto e volevo che salisse nella mia stanza. Erano gli ultimi giorni d’estate e il figliolo della mia padrona ritornava l’indomani dalla colonia; con lui per casa era impossibile ricevere una donna. La pregai, la supplicai di venire, scherzai, feci il buffone. — Non ti mangio, — le dissi. Non voleva saperne. — Non ti mangio — . Quella testarda ritrosia mi scottava. Lei si teneva stretta al braccio e ripeteva:

— Andiamo a spasso.

— Poi andremo al cinema, — le dissi, ridendo. — Ho dei soldi.

E lei imbronciata: — Non vengo con te per i soldi.

— Ma io sí, — le dissi in faccia, — vengo con te per stare a letto — . Ci guardammo indignati, rossi in faccia tutti e due. Sentii piú tardi la vergogna, credo che in seguito da solo avrei pianto di rabbia, non fossero stati l’orgoglio e la gioia che m’invasero perché adesso ero libero. Cate piangeva, le scendevano le lacrime. Mi disse piano: — Allora vengo con te — . Arrivammo al portone senza parlare; lei mi stringeva e si appoggiava alla spalla con tutto il suo peso. Al portone mi fece fermare. Si dibatteva, disse: — No, che non ti credo, — mi strinse il braccio come una morsa, e scappò.

Da quella sera non la vidi piú. Non pensai molto al nostro caso perché credevo ritornasse. Ma quando capii che non sarebbe tornata, il bruciore della mia villania s’era ormai spento. Gallo e gli amici eran di nuovo il mio orizzonte, e in sostanza mi godevo già quel piacere di rancore saziato, di occasione felicemente perduta, ch’è poi divenuto per me un’abitudine. Nemmeno Gallo me ne parlò piú, non ebbe il tempo di farlo. Andò ufficiale nella guerra d’Africa e non lo vidi per un pezzo. Quell’inverno scordai la sua agraria e la scuola rurale, divenni tutto cittadino e capii che la vita era davvero bella. Frequentai molte case, parlavo di politica, conobbi altri rischi e piaceri e ne uscii sempre. Cominciai qualche lavoro scientifico. Vidi gente e conobbi colleghe. Per qualche mese studiai molto e mi fingevo un avvenire. Quell’ombra di dubbio nell’aria, quella febbre di tutti, la minaccia, la guerra vicina, rendevano piú vive le giornate e piú futili i rischi. Ci si poteva abbandonare e poi riprendere; nulla accadeva e tutto aveva sapore. Domani, chi sa.

Adesso le cose accadevano e c’era la guerra. Ci pensai nella


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