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era cercato e ascoltato, ragionava coi grandi, con noi ragazzi, strizzava l’occhio alle donne. Già allora gli andavo dietro e alle volte scappavo dai beni per correre con lui nella riva o dentro il Belbo, a caccia di nidi. Lui mi diceva come fare per essere rispettato alla Mora; poi la sera veniva in cortile a vegliare con noi della cascina.
E adesso mi raccontava della sua vita di musicante. I paesi dov’era stato li avevamo intorno a noi, di giorno chiari e boscosi sotto il sole, di notte nidi di stelle nel cielo nero. Coi colleghi di banda che istruiva lui sotto una tettoia il sabato sera alla Stazione, arrivavano sulla festa leggeri e spediti; poi per due tre giorni non chiudevano piú la bocca né gli occhi — via il clarino il bicchiere, via il bicchiere la forchetta, poi di nuovo il clarino, la cornetta, la tromba, poi un’altra mangiata, poi un’altra bevuta e l’assolo, poi la merenda, il cenone, la veglia fino al mattino. C’erano feste, processioni, nozze; c’erano gare con le bande rivali. La mattina del secondo, del terzo giorno scendevano dal palchetto stralunati, era un piacere cacciare la faccia in un secchio d’acqua e magari buttarsi sull’erba di quei prati tra i carri, i birocci e lo stallatico dei cavalli e dei buoi. — Chi pagava? — dicevo. I comuni, le famiglie, gli ambiziosi, tutti quanti. E a mangiare, diceva, erano sempre gli stessi.
Che cosa mangiavano, bisognava sentire. Mi tornavano in mente le cene di cui si raccontava alla Mora, cene d’altri paesi e d’altri tempi. Ma i piatti erano sempre gli stessi, e a sentirli mi pareva di rientrare nella cucina della Mora, di rivedere le donne grattugiare, impastare, farcire, scoperchiare e far fuoco, e mi tornava in bocca quel sapore, sentivo lo schiocco dei sarmenti rotti.
— Tu ci avevi la passione, — gli dicevo. — Perché hai smesso? Perché è morto tuo padre?
E Nuto diceva che, prima cosa, suonando se ne portano a casa pochi, e poi che tutto quello spreco e non sapere mai bene chi paga, alla fine disgusta. — Poi c’è stata la guerra, — diceva. — Magari alle ragazze prudevano ancora le gambe, ma chi le faceva piú ballare? La gente si è divertita diverso, negli anni di guerra.
— Però la musica mi piace, — continuò Nuto ripensandoci, c’è soltanto il guaio ch’è un cattivo padrone... Diventa un vizio, bisogna smettere. Mio padre diceva ch’è meglio il vizio delle donne...
— Già, — gli dissi, — come sei stato con le donne? Una volta ti piacevano. Sul ballo ci passano tutte.
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