Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/431

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XII.

Nuto non si era sbagliato. Quei morti di Gaminella furono un guaio. Cominciarono il dottore, il cassiere, i tre o quattro giovanotti sportivi che pigliavano il vermut al bar, a parlare scandalizzati, a chiedersi quanti poveri italiani che avevano fatto il loro dovere fossero stati assassinati barbaramente dai rossi. Perché, dicevano a bassa voce in piazza, sono i rossi che sparano nella nuca senza processo. Poi passò la maestra — una donnetta con gli occhiali, ch’era sorella del segretario e padrona di vigne — e si mise a gridare ch’era disposta a andarci lei nelle rive a cercare altri morti, tutti i morti, a dissotterrare con la zappa tanti poveri ragazzi, se questo fosse bastato per far chiudere in galera, magari per far impiccare, qualche carogna comunista, quel Valerio, quel Pajetta, quel segretario di Canelli. Ci fu uno che disse: — È difficile accusare i comunisti. Qui le bande erano autonome. — Cosa importa, disse un altro, — non ti ricordi quello zoppo dalla sciarpa, che requisiva le coperte? — E quando è bruciato il deposito... — Che autonomi, c’era di tutto... — Ti ricordi il tedesco...

— Che fossero autonomi, — strillò il figlio della madama della Villa, — non vuol dire. Tutti i partigiani erano degli assassini.

— Per me, — disse il dottore guardandoci adagio, — la colpa non è stata di questo o di quell’individuo. Era tutta una situazione di guerriglia, d’illegalità, di sangue. Probabilmente questi due hanno fatto davvero la spia... Ma, — riprese, scandendo la voce sulla discussione che ricominciava, — chi ha formato le prime bande? chi ha voluta la guerra civile? chi provocava i tedeschi e quegli altri? I comunisti. Sempre loro. Sono loro i responsabili. Sono loro gli assassini. È un onore che noi Italiani gli lasciamo volentieri...


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