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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/441

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com’era, il suo spavento era di finire senza né tetto né terra. — E vendi, — gli diceva l’Angiolina a denti stretti, — in qualche posto andremo. — Ci fosse ancora tua mamma, — brontolava Padrino. Io capivo che quell’autunno era l’ultimo, e quando andavo per la vigna o nella riva stavo sempre col sopraffiato che mi chiamassero, che venisse qualcuno a mandarmi via. Perché sapevo di non essere nessuno.

Poi andò che s’intromise il parroco — quello d’allora, un vecchione dalle nocche dure — che comprò per qualcun altro, parlò col Consorzio, andò lui fino a Cossano, aggiustò le ragazze e Padrino e io, quando venne il carretto per prendere l’armadio e i sacconi, andai nella stalla a staccare la capra. Non c’era piú, l’avevano venduta anche lei. Mentre piangevo per la capra, arrivò il parroco — aveva un grosso ombrello grigio e le scarpe infangate — e mi guardò di traverso. Padrino girava per il cortile e si tirava i baffi. — Tu, — mi disse il prete, — non fare la donnetta. Che cos’è questa casa per te? Sei giovane e hai tanto tempo davanti. Pensa a crescere per ripagare questa gente del bene che ti hanno fatto...

Io sapevo già tutto. Sapevo e piangevo. Le ragazze erano in casa e non uscivano per via del parroco. — Nella cascina dove va Padrino, — disse costui, — sono già troppe le tue sorelle. Ti abbiamo trovato una casa come si deve. Ringraziami. Là ti faranno lavorare.

Cosí, coi primi freddi, entrai alla Mora. L’ultima volta che passai Belbo non mi voltai indietro. Lo passai con gli zoccoli in spalla, il mio fagottino, e quattro funghi in un fazzoletto che l’Angiolina mandava alla Serafina. Li avevamo trovati io e Giulia in Gaminella.

Chi mi accolse alla Mora fu Cirino il servitore, col permesso del massaro e di Serafina. Mi fece subito vedere la stalla dove c’erano i manzi, la vacca, e dietro uno steccato il cavallo da tiro. Sotto la tettoia c’era il biroccio verniciato nuovo. Al muro, tanti finimenti e staffili coi fiocchetti. Disse che quelle notti dormivo ancora sul fienile; poi mi avrebbe messo un saccone nella stanza dei grani dove dormiva lui. Questa e la stanza grande del torchio e la cucina non avevano in terra il battuto ma il cemento. In cucina c’era un armadio coi vetri e tante tazze, e sopra il camino dei festoni di carta rossa lucida, che l’Emilia mi disse guai al mondo se toccavo. La Serafina guardò la mia roba, mi chiese se facevo conto di crescere ancora, disse all’Emilia che mi trovasse una giacca per l’inverno. Il


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