Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/479

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— Nemmeno lui viene a trovarti qui. Perché non viene?... Sta’ attenta, Silvia. Sei sicura che ti dica la verità?

— Nessuno la dice, la verità. Se ci pensi alla verità, vieni matta. Guai a te se gliene parli...

— Sei tu che lo vedi, — diceva Irene, — sei tu che ti fidi... Vorrei soltanto che non fosse grossolano come l’altro...

Silvia rideva, a bassa voce. Io non potevo star sempre fermo dietro i faglioli, se ne sarebbero accorte. Davo un colpo di zappa e tendevo l’orecchio.

Una volta Irene disse: — Avrà sentito, non credi?

— Va’ là, è il garzone, — diceva Silvia.

Ma ci fu la volta che Silvia piangeva, si torceva sullo sdraio e piangeva. Cirino dal portico batteva un ferro e non mi lasciava sentire. Irene le stava intorno, le toccava i capelli, dove Silvia s’era piantate le unghie. — No, no, — piangeva Silvia, — voglio andarmene, scappare... Non ci credo, non ci credo, non ci credo...

Quel maledetto ferro di Cirino non mi lasciava sentire.

— Vieni su, — diceva Irene toccandola, — vieni su sul terrazzo, sta’ zitta...

— Non me ne importa, — gridava Silvia, — non me ne importa di niente...

Silvia si era messa con uno di Crevalcuore, che avevano delle terre a Calosso, un padrone di segheria che girava in motocicletta, si faceva salir dietro Silvia e partivano per quegli stradoni. La sera sentivamo il fracasso della moto, si fermava, ripartiva, e dopo un poco compariva Silvia coi capelli neri negli occhi, al cancello. Il sor Matteo non sapeva niente.

L’Emilia diceva che quest’uomo non era il primo, che il figlio del medico l’aveva già presa, in casa sua nello studio del padre. Fu una cosa che non si seppe mai bene; se davvero quell’Arturo ci aveva fatto l’amore, perché avevano smesso proprio nell’estate quando diventava piú bello, e piú facile trovarsi? Invece era venuto il motociclista, ce adesso tutti sapevano che Silvia era come matta, si faceva portare tra le canne e nelle rive, la gente li incontrava a Camo, a Santa Libera, nei boschi del Bravo. A volte andavano anche a Nizza all’albergo.

A vederla, era sempre la stessa — quegli occhi scuri, scottanti. Non so se sperasse di farsi sposare. Ma quel Matteo di Crevalcuore era un attaccabrighe, un boscaiolo che ne aveva già bruciati molti


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