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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/481

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XXV.

Irene non la vidi mai disperata come la sorella, ma quando da due giorni non la chiamavano al Nido, se ne stava nervosa dietro la griglia del giardino oppure andava con un libro o il ricamo a sedersi nella vigna insieme a Santina, e di là guardava la strada. Quando partiva col parasole verso Canelli, era felice. Che cosa si dicessero con quel Cesarino, quel morto in piedi, non lo so; una volta ch’ero passato pedalando da matto verso Canelli e li avevo intravisti in mezzo alle gaggie, m’era parso che Irene, in piedi, leggesse in un libro e Cesarino seduto sulla proda davanti a lei la guardava.

Alla Mora un giorno era ricomparso quell’Arturo dagli stivali, s’era fermato sotto la terrazza, aveva parlato con Silvia che di lassú scrutava la strada, ma Silvia non l’aveva invitato a salire, gli aveva detto solamente che la giornata era pesante e quelle scarpe dal tacco basso — alzò un piede — a Canelli adesso si trovavano.

Arturo aveva chiesto strizzando l’occhio se suonavano i ballabili, se Irene suonava sempre. — Chiedilo a lei, — disse Silvia e guardò oltre il pino.

Irene non suonava quasi piú. Pare che al Nido non ci fossero pianoforti, che la vecchia non volesse saperne di vedere una ragazza slogarsi le mani sulla tastiera. Quando Irene andava in visita dalla vecchia, si prendeva la borsa col ricamo dentro, una grossa borsa ricamata di fiori verdi di lana, e nella borsa riportava a casa qualche libro del Nido che la vecchia le dava da leggere. Erano vecchi libri, foderati con del cuoio. Lei portava invece alla vecchia il giornale illustrato delle sarte — lo faceva comprare apposta a Canelli, tutte le settimane.


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