Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/497

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XXIX.

In quei giorni venne un’altra notizia: era morta la vecchia del Nido. Irene non disse niente, ma si capí ch’era in calore, le tornò il sangue sulla faccia. Adesso che Cesarino poteva fare di testa sua, si sarebbe presto veduto che uomo era. Girarono tante voci — che l’erede era lui solo, ch’erano in molti, che la vecchia aveva lasciato tutto al vescovo e ai conventi.

Invece venne un notaio a vedere il Nido e le terre. Non parlò con nessuno, nemmeno con Tommasino. Diede gli ordini per i lavori, per i raccolti, per le semine. Nel Nido, fece l’inventario. Nuto, che venne allora in licenza per il grano, seppe tutto a Canelli. La vecchia aveva lasciati i beni ai figli di una nipote che non erano nemmeno conti, e nominato tutore il notaio. Cosí il Nido rimase chiuso, e Cesarino non tornò.

Io in quei giorni ero sempre con Nuto e parlavamo di tante cose, di Genova, dei soldati, della musica e di Bianchetta. Lui fumava e mi faceva fumare, mi diceva se non ero ancora stufo di pestare quei solchi, che il mondo è grande e c’è posto per tutti. Sulle storie di Silvia e d’Irene alzò le spalle e non disse niente.

Neanche Irene non disse niente sulle notizie del Nido. Continuò a essere magra e smorta e andava a sedersi con Santina sulla riva del Belbo. Si teneva il libro sulle ginocchia e guardava le piante. La domenica andavano a messa col velo nero in testa — la matrigna, Silvia, tutte insieme. Una domenica, dopo tanto tempo, risentii suonare il piano.

L’inverno prima, l’Emilia mi aveva prestato qualcuno dei romanzi d’Irene, che una ragazza di Canelli prestava a loro. Da un pezzo volevo seguire i consigli di Nuto e studiare qualcosa. Non


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