Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/498

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ero piú un ragazzo che si accontenta di sentir parlare delle stelle e delle feste dei santi dopo cena sul trave. E lessi questi romanzi vicino al fuoco, per imparare. Dicevano di ragazze che avevano dei tutori, delle zie, dei nemici che le tenevano chiuse in belle ville con un giardino, dove c’erano cameriere che portavano biglietti, che davano veleni, che rubavano testamenti. Poi arrivava un bell’uomo che le baciava, un uomo a cavallo, e di notte la ragazza si sentiva soffocare, usciva nel giardino, la portavano via, si svegliava l’indomani in una cascina di boscaioli, dove il bell’uomo veniva a salvarla. Oppure la storia cominciava da un ragazzo scavezzacollo nei boschi, ch’era il figlio naturale del padrone di un castello dove succedevano dei delitti, degli avvelenamenti, e il ragazzo veniva accusato e messo in prigione, ma poi un prete dai capelli bianchi lo salvava e lo sposava all’ereditiera di un altro castello. Io mi accorsi che quelle storie le sapevo già da un pezzo, le aveva raccontate in Gaminella la Virgilia a me e alla Giulia — si chiamavano la storia della Bella dai capelli d’oro, che dormiva come una morta nel bosco e un cacciatore la svegliava baciandola; la storia del Mago dalle sette teste che, non appena una ragazza gli avesse voluto bene, diventava un bel giovanotto, figlio del re.

A me questi romanzi piacevano, ma possibile che piacessero anche a Irene, a Silvia, a loro ch’erano signore e non avevano mai conosciuta la Virginia né pulito la stalla? Capii che Nuto aveva davvero ragione quando diceva che vivere in un buco o in un palazzo è lo stesso, che il sangue è rosso dappertutto, e tutti vogliono esser ricchi, innamorati, far fortuna. Quelle sere, tornando sotto le gaggie da casa di Bianchetta, ero contento, fischiavo, non pensavo piú nemmeno a saltare sul treno.

La signora Elvira tornò a invitare a cena Arturo, che stavolta si fece furbo e lasciò a casa l’amico toscano. Il sor Matteo non si oppose piú. Erano i tempi che Silvia non aveva ancora detto in che stato era tornata da Genova, e la vita alla Mora sembrava riprendere un po’ stracca ma solita. Arturo fece subito la corte a Irene; Silvia coi suoi capelli negli occhi lo guardava adesso con l’aria di chi se la ride, ma, quando Irene si metteva al piano, lei se ne andava di colpo e si appoggiava sul terrazzo o passeggiava per la campagna. Il parasole non usava piú, adesso le donne giravano già a capo scoperto, anche sotto il sole.

Irene non voleva saperne di Arturo. Lo trattava docile ma


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