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la stazione e il bosco nero di Calamandrana. Capivo che Nuto stava per dirmi qualcosa — e non so perché, mi ricordai del Buon Consiglio.
— Ci sono andato una volta con Silvia e Irene, — chiacchierai, sul biroccio. Ero ragazzo. Di lassú si vedevano i paesi piú lontani, le cascine, i cortili, fin le macchie di verderame sopra le finestre. C’era la corsa dei cavalli e sembravamo tutti matti... adesso non mi ricordo nemmeno piú chi l’ha vinta. Mi ricordo soltanto quelle cascine sui bricchi e il vestito di Silvia, rosa e viola, a fiori...
— Anche Santa, — disse Nuto, — una volta s’è fatta accompagnare in festa a Bubbio. C’è stato un anno che lei veniva a ballare soltanto quando suonavo io. Era viva sua madre... stavano ancora alla Mora...
Si voltò e disse: — Si va?
Riprese a condurmi su per quei pianori. Di tanto in tanto si guardava intorno, cercava una strada. Io pensavo com’è tutto lo stesso, tutto ritorna sempre uguale — vedevo Nuto su un biroccio condurre Santa per quei bricchi alla festa, come avevo fatto io con le sorelle. Nei tufi sopra le vigne vidi il primo grottino, una di quelle cavernette dove si tengono le zappe, oppure, se fanno sorgente, c’è nell’ombra, sull’acqua, il capelvenere. Traversammo una vigna magra, piena di felce e di quei piccoli fiori gialli dal tronco duro che sembrano di montagna — avevo sempre saputo che si masticano e poi si mettono sulle scorticature per chiuderle. E la collina saliva sempre: avevamo già passato diverse cascine, e adesso eravamo fuori.
— Tanto vale che te lo dica, — fece Nuto d’improvviso senza levare gli occhi, — io so come l’hanno ammazzata. C’ero anch’io.
Si mise per la strada quasi piana che girava intorno a una cresta. Non dissi niente e lo lasciai parlare. Guardavo la strada, giravo appena la testa quando un uccello o un calabrone mi piombava addosso.
C’era stato un tempo, raccontò Nuto, che, quando lui passava a Canelli per quella strada dietro il cinema, guardava in su se le tendine si muovevano. La gente ne dice tante. Alla Mora ci stava, già Nicoletto, e Santa, che non poteva soffrirlo, appena morta la madre era scappata a Canelli, s’era presa una stanza, e aveva fatto la maestra. Ma col tipo che lei era, aveva subito trovato da impiegarsi alla Casa del fascio, e dicevano di un ufficiale della milizia, dicevano di un podestà, del segretario, dicevano di tutti i piú delin-
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