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capitolo quinto 225

salivano il Rossi. Imperocchè, oltre al fatto che il nuovo ministro mirava effettivamente a scomporre le fila della rivoluzione, giacchè questo era il còmpito che egli si era assunto e per portarlo a fine era venuto al potere, fra i liberali e il Rossi esisteva, fatalmente, un equivoco, che noi, oggi, vediamo; ma che i contemporanei, allora, non potevano vedere. Il Rossi non era stimato ed amato che da quei pochi moderati che avevano letto le sue opere, o che lo avevano avvicinato; alla grande maggioranza della popolazione era antipatico ed inviso e ritenuto un reazionario, uno strumento adoperato dalla congrega cardinalizia per ritogliere le libertà concesse ai popoli dello stato romano e per impedire la nuova guerra d’indipendenza; quindi a tutti gli atti suoi, anche i meno politici e i più innocui, si attribuiva un significato politico e odioso; quasi tutti ignoravano allora quali tesori di patriottismo si accogliessero in quell’anima gagliardissima; egli, fiero e sprezzante, non si curava di chiarire l’equivoco, non procurava di avvicinare gli uomini più influenti e di persuaderli; i suoi nemici rinfocolavano le ire, traevan fuori le vecchie accuse, interpretavano sinistramente ogni suo gesto, ogni sua parola e la marea della diffidenza e dell’odio saliva, saliva ogni giorno.

Il giorno 22 il Rossi pubblicava uno splendido articolo suo nella Gazzetta di Roma, in cui egli intesseva una specie di programma del suo ministero. Quell’articolo riprodotto o in tutto, o in parte da parecchi fra gli storici di quegli avvenimenti1, è una esposizione chiara e netta delle idee di Pellegrino Rossi, il quale affermava che «lo statuto fondamentale è la pietra angolare e sacra su cui poggia e si leva in alto il nostro edifício politico»; e che «il rispetto e l’osservanza delle leggi è la giusta e necessaria norma secondo la quale debbono dirigersi le opero di ogni cittadino, dell’uomo veracemente libero e degno di esserlo; la norma che il governo di Sua Santità si è prefisso di seguire».

Quindi giustificava la soppressione del ministero di polizia, annunciava il proposito di riordinare l’esercito e l’offerta fatta al Generale Carlo Zucchi di assumere il ministero della guerra

  1. Vedilo per intero nel Farini, op. cit., vol. II, cap. XVI, pag. 326 e seg.