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capitolo quinto 253

agenti della polizia, un Volponi, un Rosalbi e un Cecchetti, i quali assistevano alle merende, alle bevute e sopra tutto agli sproloqui giacobini della Salita di Marforio e poi, ogni sera, andavano a far rapporto di quanto si era detto - non si potrebbe mai dire di ciò che si era fatto - alla direzione generale di polizia.

Inoltre quella sciocca baraonda era così stupidamente condotta che quattro di coloro che erano stati messi a parte del fantastico disegno — in processo è chiamato francesescamente piano — del Facciotti rivelavano tutto ciò che avveniva, tre di essi, da volgari spie volontarie, alla polizia, uno, da spia volontaria diplomatica, al Conte Rossi direttamente, ed era costui un ufficiale del primo battaglione civico, a cui appartenevano i fratelli Facciotti.

La propaganda fatta da costoro si era spinta, come più elevato limite, fino a questo e a un altro ufficiale che, uomini no, ma pavidi fringuelli, atterriti dai paroloni, svesciavano tutto ai loro superiori; come a limite minimo essa era giunta, giù nei più bassi strati sociali, fra gentaccia e gentaccia, tanto che era giunta fino a un Bernasconi. A leggere i soprannomi di una parte di quei cento, o centoventi cospiratori da taverna, Scapigliene, Scozzone, Grilletto, Buccetta, Ruffiano, Musignano, Fetone, Carbonaretto, Turchetto, Musolino, Mimminello, mastro Inciampa, Ricciotto, Succhietta, Pecione, Terefone, par d’essere fra i barattieri, nella quinta bolgia dantesca.

Il Carbonelli che, interpellato una volta da Bernardino Facciotti, avevagli detto essere egli filosofo e filosofo cinico, ricevette ed ebbe, a sua insaputa, dall’ignoranza del Facciotti e dei suoi compagni di taverna, il soprannome di Cenice, con cui da qualche testimonio è designato in processo.

Di questa grottesca congiura, nella quale non entrarono mai, neppur per sogno, nè lo Sterbini, nè il Brunetti, nè il Guerrini - benché il giudice Laurenti si faccia in quattro per volerceli incastrare per forza - e che divenne più attiva, cioè più parolaia, dal momento che il Rossi ascese al potere, erano, dunque, a questo noti i passi, le parole, i sospiri, come meglio dimostrerò allorché verrò all’esame della processura.

Chi pare — la cosa è però dubbia assai — che ne sapesse qual-