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capitolo sesto 291

mente e legittimamente votate, non una da lui e dal suo potere esecutivo era stata effettuata, per ricordargli che dal programma Mamiani, approvato legalmente dai Consigli deliberanti, lui, il Pontefice, e il suo potere esecutivo, avevano illegalmente deviato. Proprio per rammentare al Papa che lui primo aveva violato e continuamente violava, da sei mesi, la costituzione; per rammentargli che ne era uscito e che bisognava rientrarvi, in quella conculcata costituzione, erano stati scritti i principii fondamentali. Inutili quindi le declamazioni.

Ora, lasciando stare che i due primi paragrafi di quei principii fondamentali fossero vaghi, indeterminati, così campati in aria fra le nebbie della platonica costituente montanelliana e delr arcadica federazione giobertiana, prodotti ideali, inconsistenti e vaporosi di sogni febbrili, lasciando stare che fossero inattuabili; i due ultimi paragrafi erano chiari, positivi, concreti e il domandare che i concetti in essi contenuti fossero fondamento alla politica romana era un diritto costituzionale e legittimo del popolo1.

Inutili, dunque, proprio, tutte quelle misere declamazioni!

Pio IX, temporeggiando e destreggiandosi, aveva sperato di sfuggire, mediante il suo illustre gerente responsabile Pellegrino Rossi, alle ultime conseguenze della contraddizione personificata in lui fra il principe liberale e italiano da un lato e il dogmatico e cattolico Pontefice dall’altro: ma la logica della storia era apparsa inesorabile nuovamente sulla scena, il ministro del Papa, recalcitrante alle conseguenze del sillogismo, era stato miserevolmente ucciso e, appunto perchè incautamente e troppo energicamente si era assunto l’ingrato ufficio di gerente responsabile di quella odiosa politica anti-liberale e anti-nazionale, era stato ucciso senza compianto: il titubante Don Abbondio

  1. Il Minghetti chiamato dal Papa, come or ora accennerò, la sera stessa del 15, scrive che in quel colloquio, in cui si parlava della necessità di formare un nuovo ministero, «... occorreva che Sua Santità permettesse al ministero nuovo, qual ch’esso fosse, di mostrarsi francamente liberale e nazionale, imperocchè sarebbe difficile guidare la cosa pubblica senza una chiara manifestazione di concetti» (M. Minghetti, Miei ricordi, vol. II, pag. 125), il che significava che anche l’illustre statista bolognese riprovava la politica seguita. da parecchi mesi, dai due ministeri Fabbri e Rossi, significava che anche lui, l’illustre dottrinario, implicitamente riconosceva che quella l’ente tumultuante in piazza — salvo i modi e gli eccessi — nella sostanza aveva ragione.