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capitolo sesto 305

governo repubblicano francese e le opere reazionarie della sua diplomazia e, riferendosi al modo con cui quel clericalissimo legittimista D’Harcourt aveva rappresentato e colorito i fatti dei giorni 15 e 16 novembre, ne traeva le conseguenze che logicamente se ne potevano trarre: se le cose stavano così come le narrava il signor D’Harcourt, Pellegrino Rossi era stato giudicato legittimamente e legittimamente condannato e messo a morte.

La lettera del Pallavicino, come era naturale, levò rumore. Nel parlarne, a mente calma, dopo trentanni, nelle sue Memorie, l’antico prigioniero dello Spielberg, soggiunge: «Questa lettera, forse imprudente, ma certo inspirata a sentimenti onesti e generosi, spiacque a molti in Piemonte» e al National Savoisien, il qual giornale scrisse un violento articolo contro il Pallavicino. L’Opinione del 22 rispose all’articolo del National Savoisien con queste parole: «Noi conosciamo Giorgio Pallavicino e sappiamo che è lontanissimo dall’approvare un assassinio: ma nel leggere i dispacci del signor D’Harcourt al suo governo ove i fatti sono, da capo a fondo, falsati bruttamente e ove si vorrebbe malignamente gettare su tutta una nazione un misfatto individuale, egli non ha potuto a meno di prendere la penna e, volgendosi al signor D’Harcourt, tenergli presso a poco questo raziocinio: se i fatti sono tali quali li esponete voi e se sono vere le dottrine politiche proclamate dalla Francia, voi mentite nel qualificare di assassinio la morte violenta del signor Rossi, mentre voi stesso provereste che non fu assassinato, ma colpito da una sentenza implicitamente pronunciata dal popolo, ed esplicitamente sanzionata dall’unanime suffragio del medesimo».

Anche il Marchese Giorgio Pallavicino rispose nello stesso senso al National Savoisien1. Ma con tutta la lettera del Pallavicino, il quale non lodava l’assassinio del Rossi, questo fatto sanguinoso restava brutta macchia nei rivolgimenti italiani di quel triennio e, perciò, appunto perchè fatto brutto, nessun partito volle assumerne la responsabilità, anzi ogni partito si adoprò a darne imputazione al partito avversario. Il che prova evidentemente come la coscienza pubblica, pure essendo in massima

  1. G. Pallavicino, Memorie cit., vol. II, pag. 43 e 44.