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258 | pensieri e discorsi |
inconsapevole del destino, i monti del Peloro e d’Antennamare nerissimi, col sole vermiglio dietro essi. Il mare si oscurava. Pungeva la brezza della sera. Io non dissi, Addio Sicilia! ed ella m’è ancora negli occhi e nell’anima. Non di lasciare la Sicilia era il mio voto, o giovani amici.
E nemmeno, illustri colleghi, propriamente il mio voto era di aver da voi l’unanime invito che mi rivolgeste. Sebbene: tale insperato onore m’abbellisce ormai tutta la vita. E siano grazie a te, o sereno compagno in alcuni dei belli anni di Messina, Vittorio Cian, di questo onore che mi fa nel tempo stesso più lieto e meno superbo, perchè fu mosso anche più dall’affetto per il mio animo che dalla stima per la mia dottrina. Che se anche non fosse stato così, se la stima che tu mi hai, del resto, mostrata pubblicamente con uno studio che io non meritava, ma che è degno di te; se codesta tua stima avesse avuto nel tuo proposito più valore che l’amicizia, ecco, o fratello, io non vorrei crederlo: chè mi piace anche più che essere lodato da uomo degno di lode, essere amato da cuore che riamo. Siano dunque grazie a te, e alla Facoltà intera, dai sodali che io venero, perchè ho potuto da loro imparare, a quelli da cui vorrei imparare, e che ammiro: a tutti, per abbracciarli tutti tra due nomi, dal Paoli al Formichi. Io sono vostro ospite e tra voi m’assido con piena fiducia e allegrezza. Eppure: essere da voi così benevolmente e liberalmente ospitato, non era nemmen questo il mio voto.
E nemmeno, Magnifico Rettore, anzi molto meno, o Rettore a cui debbo se all’invito della Facoltà seguì l’assenso del Ministro; molto meno il mio voto