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il sabato 67

mancò nella sua fanciullezza un po’ di dolore. Non ne ebbe assai, di dolore, Giacomo Leopardi, da fanciullo!

Io ricordo che strette al cuore sentivo quando mi giungeva, la notte, nella veglia non consolata, “il suon dell’ore„. Era la voce della città straniera; non del borgo natio. E io pensavo al babbo e alla mamma. E Giacomo non poteva nemmeno, fuggendo dal padre, correre al seno della madre. Essa tutta occupata nel restaurare il patrimonio Leopardi, non accarezzava i figli che con lo sguardo. Se era così dolce, come so io d’un’altra, come sanno tutti, o quasi, d’una, poteva bastare. Ma...



V.


Nell’instituzione di Monaldo era sopra tutto un vizio che egli con meraviglia s’intenderebbe rimproverare. Egli coltivò troppo in Giacomo il desiderio della gloria. È un’ambizione questa che si suole chiamare nobile; in verità non può esservi ambizione nobile, se nobile vuol dire buona. Ma lasciamo lì; io non voglio, nè so nè devo, fare il moralista: certo mi piacerebbe che l’uomo facesse bene, senza aver sempre di mira un altro di cui far meglio; e che specialmente nell’arte e in particolare nella poesia, la quale non è nessun merito far bene, perchè non si può far male; o si fa o non si fa; l’artista e il poeta si contentasse di piacere a sè senza cercare di piacere a tutti i costi agli altri e più d’altri. Lasciamo, ripeto; io voglio soltanto dire che questo smodato desiderio di gloria fu cagione d’infelicità