e le premiazioni. “Noi tre„, racconta Carlo, “fratelli più grandi, Giacomo, io e la Paolina, davamo talvolta in casa saggi quasi pubblici dei nostri studi„. E da questa vita di soggezione continua e di regolarità uniforme veniva quel bisogno delle fole e delle novelle, che Giacomo raccontava e Carlo ascoltava a lungo; e derivò presto quell’opposizione di pensieri col loro padre, che nei collegi è solita tra alunni e superiori. Giacomo “l’onorare i genitori non intendeva esserne schiavo„. Ciò nei tempi in cui si confessava, poichè “ne fu dichiarato empio dal prete„. Il noto dissidio tra padre e figlio, che ha diviso gli studiosi del Leopardi in due fazioni, quella dei Monaldiani e quella dei Giacomiani, nacque, o almeno fu reso facile o possibile, da questo fatto: che Giacomo, come i suoi fratelli, vide da fanciullo nel padre più il superiore che il genitore; e ciò attenua la colpa sì di Monaldo, se è di Monaldo, perchè egli operava a fin di bene, sì di Giacomo, se è di Giacomo, perchè egli non credeva di fare tanto male. Col tempo, Carlo lodò suo padre e della severa educazione e dell’istruzione “forse migliore di quella dei collegi„, come lodiamo noi ora quel buon rettore di cui da ragazzi dicevamo tanto male. Certo noi ameremmo o amiamo i nostri figlioli in modo diverso; ma non si può dire che Monaldo non li amasse a modo suo. Oh! egli avrebbe fatto meglio, dico io non ostante le lodi di Carlo, a metterli a dirittura in un collegio vero e fuori di casa. Nella tristezza della solitudine, che si fa in esso così fiera nella celletta dopo il chiasso del giorno e il brusìo della sera, si sarebbero essi con tutta l’anima rivolti alla famiglia lontana. Pare assurdo il dirlo; eppure è così: al poeta del dolore