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64 | MARIO RAPISARDI |
rono la vita, sentono ora il bisogno di deplorarne la morte. Che Michele Calì non fu dei mezz’uomini, di che ora fungheggia la felicissima Italia, barcheggianti e volpeggianti decorosamente, e trafficanti sin le minuge del prossimo, con moderazione borghese; egli fu onesto all’antica, e non soltanto fu, ma tale ebbe il coraggio di mostrarsi in ogni occasione: coraggio quasi eroico in tempi corrotti. E cosa, se non affatto singolare, rarissima: seppe accoppiare l’onestà all’avvocatura!
La quale egli intendeva, come Catone, difendendo gratuitamente non solo, e quelle sole cause che gli paressero oneste, ma proponendosi e presentandosi da sè alla difesa: pur di avere l’occasione di combattere in onore della giustizia, a prò dei conculcati, a vituperio dei prepotenti. Così non fu sopercheria consumata o tentata nella sua città, che egli non se ne mostrasse operosamente nemico, e ne sarebbe stato implacabile vendicatore: chè l’animo aveva ferocissimo nell’amore della giustizia, come un cittadino delle vecchie repubbliche; e, pur di far trionfare un’idea che parevagli benefica, avrebbe dato la vita.
Or lasciatelo riposare, povero Michele; e non fate clamori sulla sua fossa, o Acesi. Basta che egli viva nella vostra memoria, e che l’esempio della sua vita non sia senza frutto!