Pagina:Perodi - I bambini delle diverse nazioni, Firenze, Bemporad, 1890.djvu/17

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cultura praticati, e vedono con i loro occhi quelle miserie ereditarie che essi sono chiamati a sanare quando saranno in età di farlo.

Fin qui mi sono occupata soltanto dei bimbi delle città e dei paesi, quelli che vivono a un dipresso nello stesso modo e sono istruiti quasi egualmente, ma noi abbiamo in Italia una quantità di bambini, che vivono fuori della regola generale e che formano delle eccezioni grandissime.

Il bambino del marinaro, per esempio, è una di quelle eccezioni. Fino da piccolo s’imbarca col padre o con un parente sopra una paranza da pesca, sopra una manaide oppure sopra uno dei tanti piccoli bastimenti che esercitano il cabotaggio sulle nostre coste, e per lui non vi sono scuole, non vi sono feste. La scuola egli la fa imparando a salire sulle sartie come un gatto, a reggersi agli alberi per chiudere le vele quando il mare imprime un movimento violento al bastimento e le raffiche minacciano di portarlo via, la fa imparando a conoscere i venti, a leggere nelle nubi le profezie delle calme o degli uragani, la fa imparando a conoscere le coste sulle quali naviga più di frequente, come gli altri bambini conoscono la loro camera da letto. Quando il bastimento non si governa più, quando gli uomini soli possono lottare, i bambini vengono chiusi nella stiva e qualche volta periscono miseramente senza rivedere il sole, rimangono sotterrati nel fondo del mare. Ma i più invece fatti grandi, fatti esperti e vigorosi visitano l’Oriente, la Francia, la Spagna; vanno alla pesca del corallo sulle coste di Algeria e un giorno, quando toccano i venti anni, passano al servizio dello Stato già addestrati nelle manovre, già assuefatti alle fatiche, alle privazioni ed alla disciplina; allora imparano a leggere e a scrivere e formano quella marina da guerra che è l’orgoglio di ogni italiano.