Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/120

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A. — Rispondimi. Fosti mai in tale distretta da soffrire la fame, la sete, il freddo?

P. — Non ancora mi guardò si bieca la fortuna.

A. — Eppure quanti ne sono afflìtti!

P. — Tienti il tuo farmaco, se altro non ne hai; questo non varrà certo a sanarmi. Perchè non sono io già di coloro che, colpiti dalla sventura, nulla più amano che circondarsi d'una turba di piagnolosi lamentatori. E troppo spesso sospiro, più che de’miei, degli altrui mali. A. — Più che a blandire, io miro a giovarti. Sappi pertanto che, quando l'uomo riguardi alle altrui sorti, ha cagione di chiamarsi contento delle proprie. Perchè non tutti possono occupare i primi seggi; d’altra guisa non vi sarebbero primi, ove non si dessero secondi. Perlochè è a dire che la fortuna amichevolmente vi tratti, allorché delle acerbissime prove onde travaglia i mortali, vi risparmia le più tremende; sebbene a coloro eziandio che sono disgraziati di tanto, è da provvedere con que' soccorrimenti che più tornano all’uopo: della qual cosa non hai certo bisogno tu, che non ne fosti se non lievemente percosso. Ma che vi precipita in fondo all’abisso, se non la dimenticanza delle proprie condizioni? e mentre vagheggiate col pensiero d’ascen-