Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/180

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170 mento a* tuoi mali , mi fu cagione di tanto maggior maraviglia , che, e 1’ autorità degli antichi e la tua propria esperienza ti doveano rendere avvertito che fallace era il tuo divisamente. E spesso in questa e quella delle opere tue ne portasti lamento ; spezialmente in qua’versi, ne’quali pingesti con assai di maestria l* affannoso tuo stato. Nè della loro dolcezza io potei non ricevere grande diletto j frattantochè non giungeva * a persuadermi , come da un capo sì stranamente travolto* e con l’animo agitato da si fiere procelle* potessero uscir versi di tanta armonia* Certo di forte amore t'amavano le muse, se, 'dì mezzo adf un sì strano e malto scombuglio > rimasero ancora in tua casa* Perchè la sentenza di Platone che dice: » invano battere alle porte di poesia chi ha sana la mente > n e ciò che aggiunge ir suo seguace Aristotele ; « non avervi alcurn grande ingegno senza mescolamento di demenza » ; si vuol riferire a tutt’ altra insania che a questa* Ma di tanto parleremo altra volta» Pé—»Sono anch’io del tuo avviso; però ii compiaccio, avvegnaché noi credessi* d’aver cantato cosa che ti fosse a grado: d’a- desso còftnncio anch’io ad amare que’versi. Ma tu, se hai pronti altri rimedii, non lasciar di fornirli a chi tanto ne abbisogna. A. — Il porre a mostra quanto si sa, è cosa che assume sembianza piuttosto di miU