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Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/37

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che fui costretto ad aprirmi con lei di più cose. Quindi due beni me ne derivarono; che, ed io feci tesoro di nuova scienza, e dall’uso del conversare rinfrancato dal soverchio timore, giunsi a rimirarne il sembiante, che in sulle prime m’avea sì allucinato. E già riavutomi nell’animo, cominciava a risentire dalle sue parole una maravigliosa dolcezza, quando nel guardare se altri fosse penetrato nella solinga mia cella, me le venne veduto dappresso un uomo per età e forme assai venerando. Ned ebbi mestieri a richieder chi fosse; che il religioso volto, la modesta fronte, gli occhi composti, il misurato passo, le sacre vesti e la romana facondia, mi diceano abbastanza ch'io m’avea dinanzi il glorioso padre Agostino. Soavissimo n’era l'aspetto, ma un non so che di maestoso oltre l’umano vi traspariva, da togliermi affatto la voce. Non però me ne sarei rimasto a lungo silenzioso; che anzi, pensata la dimanda, correa la lingua ad interrogarlo, allorché di bocca la verità me ne venne udito il dolcissimo nome; la quale col rivolgersi a lui, rompendo a mezzo il corso de’ suoi pensieri, gli disse: o a me caro fra mille, Agostino, tu conosci costui che ti venera tanto, e sai di qual pericolosa e lunga malattia sia preso, a tal che n’è vicino a morte; e sai altresì che, sebbene infermo, pure ignora in