Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/53

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P. — Gran Dio! e non v’ha uomo che conosca le mie sofferenze, che sappia come mi sforzassi a rialzarmi, se mi fosse stato concesso!

A. — Taci! il cielo e la terra n’andranno sossopra , e cadranno le stelle dal firmamento, e gli elementi concordi verranno a pugna tra loro, prima che sia mendace il giudizio cui sarà per profferire là verità.

P. — Che ne dici adunque?

A. — Io dico che la coscienza ti espresse lagrime dagli occhi, ma non mai t’indusse a cangiar di proposito.

P. — Ma, e quante volte dero ripeterti che nol potei?

A. — Ed altrettante io ti risposi, e più veracemente, che non volesti. Nè mi maraviglio che tu restassi avvolto entro tali lacci, di cui anch’io esperimentai quanto fossero tenaci, allorchè rivolsi l'animo ad imprendere un nuovo cammino. Mi strappava i capelli, percoteami la fronte, storceami le dita, e incrocicchiate le palme mi stringea le ginocchia, di amarissimi sospiri riempiva l’aria ed il cielo, e gemendo bagnava di largo pianto il terreno. Eppure non mi mutai dall'uomo di prima, finchè un più profondo pensiero non mi rappresentò al vivo tutta quanta la mia miseria. Pertanto allorchè volli pienamente, e tosto anche potei; e con mirabile ed avventurata prontezza mi trasformai