Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/91

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dire quello che pensi della maggior parte degli uomini.

A. — È molto buona cosa sprezzare sè stessi; assai vana e piena di pericolo, gli altri. Ma andiamo innanzi. Sai tu che ti travii?

P. — Di ciò che t’aggrada, purchè non m’accusi d’invidia.

A. — Così non t'avesse più danneggiato la superbia che l’invidia! Di questa io non t'accuso; ma altro t’ho a dire.

P. — Quindinnanzi non avrai più cosa ad appormi. Ora chiariscimi schiettamente ciò che mi conduce fuori del buon sentiero.

A. — La cupidigia dei beni temporali.

P. — In fede mia che molto grossamente t'inganni.

A. — D'un tratto ti turbi e dimentichi la promessa. E sì che non t'ho parlato d’invidia!

P. - Ma mi dai taccia d'avarizia, da cui non avvi persona che più di me sia lontana.

A. — Tu spendi assai parole a purgarti d’un vizio; del quale, credilo a me, non sei, come ti sembra puro del tutto.

P. - Dunque io sono avaro?

A. - E per giunta ambizioso.

P. - Affrettati adunque ad aggiugnere altro al già detto, e a fornire tutte le parti dell'accusatore. lo sto qui ad attendere di qual altra ferita vorrai piagarmi.

t. IX. 6