Pagina:Petruccelli - I moribondi.djvu/12

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invadevano la patria come gl’insetti invadono i cenci del mendicante. Appena se lo nominarono deputato.

— Che razza d’uomo è dunque codesto vostro vicino? domandò un signore della compagnia.

— Veramente non è della pasta comune, risponde il grosso cicalone. Lo si direbbe fiero, ma io lo credo piuttosto un po’ timido. Non parla che con le persone che conosce. Un profondo sentimento del vero e della giustizia lo rende sarcastico e bilioso. Veramente affettivo, e perciò soggetto ad antipatie subite, a vive simpatie, all’entusiasmo ed alla collera. Egli preferisce un paradosso ad una trivialità. Ama il mondo e le brigate solazzevoli, e si rassegna alla solitudine per l’invincibile nausea che gli destano gli sciocchi ed i nojosi. La natura lo ha fatto infingardo; il bisogno, lavoratore e solerte. Il tedio lo invade facilmente. La gioja lo inebbria. Si accende subito, ma sa dominarsi. Alla Camera parla poco — nelle sue discussioni fogose e drammatiche. È indipendente e burbero. In fondo, affettuoso, uomo semplice, buon figliuolo, ma che ha dell’humour — come un inglese.

— Ella ne parla da amico, eh! interruppe un signore.

— Può darsi, continua il grosso galantuomo. Lo confesso, mia moglie ed io lo amiamo molto. La sera andiamo a prendere il thè in casa sua, ed a canto al fuoco, i piedi stesi al caminetto, cinguettiamo un po’ di tutto, fino ad un’ora del mattino, quando egli può dispensarsi dal lavorare.