Pagina:Petruccelli - I moribondi.djvu/17

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cessava poi anch’esso, perocchè il tempo che io occupavo alle mie bisogne bisognava consacrarlo alla patria.

Ed eccomi in via per Torino.

Enfin! sclama mia moglie.

Hélas! soggiunse il mio vicino. Eccomi anzi a Torino. Gli onesti abitanti di quella città avevano onestamente quadruplicato il prezzo del fitto, e bisognava collocarsi con una certa convenienza. Tutti gli oggetti necessari alla vita erano augumentati. Ed un deputato, perchè deputato, è taglieggiato con avidità dovunque e da tutti. Dunque, non più rendite, e la spesa spinta innanzi con la forza di cinquecento cavalli. Ma un buon cittadino deve ruinarsi per l’amore del suo paese — ciò è nel Credo.

— Hum! cominciava a borbottare madama.

— Nondimeno, tutto questo non è nulla, dice il mio vicino. Si va come si può. Eccomi quindi installato. Io che amavo tanto a vaneggiare, a rever nel mio letto il mattino, alle sette sono ora in piedi. Il mio portinajo mi porta su una intimazione del mio uffizio onde mi renda quivi alle dieci e mezzo per discutervi, se il comune di Monmilone ha il dritto di riunirsi al comune di Monmiletto. E poi prendere in considerazione, che so io? la legge sulla instituzione delle colonne Vespasiane a Napoli, che è piaciuto ad un Baldacchino o ad un De Cesare qualunque di presentare all’onorevole Parlamento. La lettura di questa roba, condita di sbadigli da scantonare Palazzo vecchio a Firenze, mi ruba un’ora. Poi me ne vo.