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Della Rovere-Pascià. Pascià e mezzo se vi piace! Egli non lo sarà mai quanto le circostanze lo esigono. Della Rovere continua l’opera iniziata dal Fanti, senza tamburi nè trombette, e lascia guaire chi guaisce, gridare chi strepita. E’ non mi sembra un uomo imbarazzato dalla moltiplicità delle idee: ma ciò che egli sa, ciò che egli vede, è netto e chiaro. Io non ho veduto mai un uomo parlare con più sicurezza, con più convincimento. Sembra che sputi oracoli. Egli non svolge la difficoltà, non colora nulla. Accetta la responsabilità del suo fatto, testa alta, petto scoverto. Non mi pare inoltre entusiasta della libertà; preferisce la disciplina — e della buona specie! Lo si acclama come amministratore abile — ma non audace. Continua, non riforma. Sa, non inventa. Però, come si confonde sovente la parola di amministratore con quella di burocratico, io mi riservo giudicarlo a quando vedremo il nostro esercito in faccia del quadrilatero. Io stimo la scienza del rapporto, cui si qualifica sovente per la scienza amministrativa, meno che un zolfanello bruciato, meno che una mozione dell’onorevole Baldacchini, un frizzo di De-Cesare, o il sapere politico dell’onorevole Ciccone. Malgrado ciò, lo confesso, io confido nel signor Della Rovere — il discendente di Giulio II, come ebbe a dire un giorno il poetico Bertolami — che non sa adulare!

Della Rovere non è fanfaron: non promette che con riserva: vuota il fondo del suo pensiero con franchezza, quando lo costringono a parlare. Di frasi, punto. Serio, altiero, impassibile, con una