Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/120

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— Messer taluno s’ingannerebbe. E non pertanto questa è la minore delle sue seduzioni. La sua voce gitta un turbamento indefinibile nell’anima: essa ha la dolcezza insinuante di un timballetto d’oro e l’armonia oleosa, se posso esprimermi così, delle corde del violoncello. Egli fila la sua voce come la seta e ne fa ciò che vuole...

— Siamo intesi! la calugine del velluto, e la corda tessuta di seta e di oro, con cui la regina Giovanna impiccava suo marito, interruppe Don Diego.

— Tu sei più nel vero che non pensi. Io era dunque inginocchiata, affatto rimpetto a lui. Ho potuto esaminarlo a mio agio; peroccchè io non pretendo, malgrado la beghina di monaca che trascino, di trascinare altresì il mio sguardo nel fango. Io guardo in faccia uomini e Dio. Che ti direi? noi ci siamo studiati così per tre ore. Imperciocchè, tenendo sempre il suo orecchio incollato al graticcio, di destra o di sinistra, il reverendo Padre non ha cessato un solo istante di squadrarmi. Si sarebbe detta una sfida di fascinazione reciproca! Io sono stata vinta. Ho abbassato gli occhi. Infine, la mia volta è giunta.

— Ah! la comincia bene, sclamò Don Diego. Vediamo.

— Io mi sono avvicinata alla lamina di ottone forata a grattugia. Io mi aspettava che il reverendo padre usasse meco come con gli altri, vale a dire non accostasse al graticcio che l’orecchio; tutto al più, io temeva di sentire il mio viso appestato dall’alito di un frate che digerisce