Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/239

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— Ebbene, padre mio, ho bisogno di dodici mila ducati, al manco; e voi me li farete trovare.

— Saresti tu matto senz’altro, figliuolo? Come vuoi tu che io ti dia questa piccola bagatella, eh?

— E S. Pasquale? ma io non sono degno di un miracolo. Datemi tre buoni numeri al lotto e i denari per giuocarli.

— Peste santa! come ci va!

— Mi bisognano ad ogni costo.

— Vediamo, figliuolo, ragioniamo. I tre numeri... ciò si puote ancora. Pregherò S. Pasquale d’ispirarmi, e forse, se tu sei bene in istato di grazia, il buon santo non ci rifiuterà questo piccolo servigio. Ma il denaro? Hai tu obbliato che noi siamo mendicanti? Si trattasse, magari! di un pezzo di pane....

— Ma a chi volete voi che m’indirizzi allora per aver dieci piastre e giuocare i vostri numeri? Io non ho un tornese. Non si vorrebbe prestarmi questa somma sulla mia parola, nè sulle mie promesse. Vendendo quanto posseggo, non metto insieme dieci grana. I mie amici sono più miserabili di me... Bisogna dunque ch’io rubi? bisogna dunque ch’io uccida? Vi domando quella piccola somma a mutuo...

— Ascoltami, figliuolo: io non ho tempo da perdere. È mestieri che io vada in chiesa a cantar vespero. Ma uscendo tu incontrerai una donna che ride e forse un asino che raglia. Va dritto loro e ripeti tre volte: Guai a chi non crede!

E ciò dicendo, fra Giuseppe gli volse le spalle. Ma Gabriele correva già più celeremente di una