Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/147

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bronzo di Victor Hugo le serviva di fermacarte sopra il piccolo tavolino vicino al suo letto.

Ella stava sdraiata sopra una dormeuse di velluto, vicino ad una finestra che dava nel giardino. Sopra il tavolino e per terra giacevano qua e là volumi di poesie e di romanzi in italiano ed in francese. Una testa di morto in avorio, col quadrante di un orologio sul fronte, segnava l’ora. In un angolo della stanza si vedevano dei fioretti e degli scudisci. Fiori nei vasi di cristallo di Boemia: uccelli a mille colori in una gabbia dorata: un cane di Terranuova, sdraiato sopra un tappeto turco, presso il balcone ed un gufo sopra un piuolo.

Cecilia — che suo padre chiamava, non sappiamo perchè, miss Silla, o miss Cecilia, all’inglese — era una lionne, secondo l’appellativo alla moda in quel tempo.

Sarebbe stata ammirabilmente bella, se non avesse avuto i capelli rossi, ereditati da suo padre, cui odiava forse per questa ragione. I poeti, e quelli che le facevano la corte, avevano un bel cantare che aveva la capigliatura di Venere, dell’Aurora, di Lucrezia Borgia (che non li aveva rossi veramente, ma biondi dorati); avevano un bel chiamarla il toson d’oro, paragonarla alle trecce di Berenice che hanno posto nel cielo, come le stelle. Cecilia trovava i suoi capelli orrendi.

Quanto al resto, era bella di quella bellezza provocante che le veniva da due occhioni neri, inquieti, fiammeggianti sopra una pelle bianca come la neve. Non era grande, ma sembrava