Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/158

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kenau, non era nulla di nulla, e di tanta teologia quanta bastava per poter bestemmiare con brio ed eleganza. Il maestro di scherma aveva compita l’educazione e sviluppato i suoi corollari. L’uovo era fecondato, un colpo di sole lo fece schiudere.

Il marchese aveva l’abitudine di rientrare alle tre del mattino, di coricarsi alle quattro e di alzarsi alle quattro dopo mezzogiorno. La sua giornata propriamente detta incominciava alle due del dopo pranzo, quando il suo tigre gli portava da asciolvere a letto.

Una sera il marchese rientrò un po’ brillo: il tigre, che dormiva nell’anticamera, non gli aprì la porta abbastanza presto. Il marchese lo fe’ ruzzolar dalla scala come una palla; ed, arrivato giù, quel cattivo birbo ebbe la malizia di trovarsi con una gamba rotta ed un braccio slogato. Il marchese, che gli aveva chiuso l’uscio dietro, non s’era brigato di sapere ciò che potesse divenire un groom che rotola sopra un piano inclinato. Il domani, non ricordandosi più di nulla, maravigliava che il ragazzo non arrivasse a due ore col suo vassoio e colla sua colazione. Ora, avendo fame, si alzò per amministrargli una correzione che potesse sviluppare in lui l’organo dell’esattezza, sì necessaria per quel felice mortale che si dà alla carriera del servitore. Grog, — egli lo chiamava così — non era lì. Il marchese pensò che quel bellimbusto si fosse addormentato in una delle sue pantofole ed aperse le cortine sbadigliando.

La finestra dava sul giardino, affatto solitario, dietro il quale passava una strada deserta. Aprì