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Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/191

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ma si guardò bene dal chiedere la soluzione dell’equazione al colonnello, che l’avrebbe tagliata netta con una parola: un’infamia.

Gli è che il colonnello non spilluzzicava le questioni morali; le sciabolava come cosacchi o prussiani. La sera, Bruto propose la storia del marchese di Filippo V a don Gabriele, come un soggetto di dramma. Don Gabriele, da quell’artista che era, la prese a volo e non ne fu scandolezzato nemmeno per ombra.

— Ma se questa storia fosse del giorno di oggi? disse Bruto; se qualcuno si trovasse in una posizione simile, che cosa gli cosigliereste di fare?

— Io non mi preoccupo dello scioglimento nelle mie commedie che quando desso è maturo, rispose gravemente don Gabriele.

Una parola di schiarimento.

Questa storia avviene in Napoli, al tempo dei Borboni.

Essa sarebbe immorale dovunque. A Napoli, allora, era naturale. Un inglese, dinanzi alla proposta del conte Ruitz, avrebbe indietreggiato senza esitare; un tedesco avrebbe esitato e poi accettato; un francese avrebbe schiaffeggiato il conte, o accettato ipso facto; un napoletano non si rendeva conto della portata dell’azione, ma delle conseguenze. Il napoletano, in quel tempo, non aveva il senso morale per definire la natura delle azioni umane. Il 1859 ha principiato e il 1860 ha finito di modificare le idee nel mezzogiorno dell’Italia.