Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/214

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dalla sintesi all’analisi. Egli mi fece adunque cominciare dove gli altri finiscono, dal più difficile. In quella solitudine alle porte di Napoli, passavamo tutte le giornate insieme, al cembalo. Ebbi bisogno di stordirmi dapprima, poi la passione dell’arte s’impadronì di me, come avrebbe potuto fare l’amore. Io non camminava più, volava. Raddoppiammo le tappe. Il maestro, egli stesso, non aveva più fiato a seguirmi.

— È dunque vero, disse don Gabriele, che spesse volte le disgrazie stesse sono in fondo fortuna?

— Io aveva inoltre una memoria prodigiosa. Mi bastava leggere uno spartito una o due volte per ricordarmelo nei suoi più minimi particolari o di supplirvi con gusto, se qualche passo mi sfuggiva. Imparai così, opera sur opera, Donizetti, Bellini, Mercadante, Rossini, Ricci e Pacini. Il marchese mi portava dei carichi di musica ogni volta che riveniva da Napoli; dopo esser restato quattro mesi sulla collina senza ritornarvi. E’ diceva di esser perseguitato dall’amor geloso di non so che principessa.

— Che? sclamò Bruto, sarebbe ancor egli che è passato per di là? Come la chiamava codesta dama?

— La principessa di Kherson.

— È proprio lei, mormorò Bruto di aria abbattuta.

— Cos’è codesta nuova storia? chiese Lena.

— Continua, continua, rispose Bruto.

— Un giorno il marchese rivenne a Posilipo con delle notizie della città. Il principe di Joinville era giunto colla sua nave e doveva lasciar